Provo sentimenti ambivalenti nei confronti di Sei tu, Michael?, un documentario appena uscito su Disney+ riguardo al quale mi potreste fare mille domande diverse, tutte in contrasto tra di loro e alle quali risponderei invariabilmente “sì”. È una storia straziante ma anche un’operazione curiosa, e su più livelli anche, a partire da quello produttivo giù giù a scendere fino a quello promozionale. È roba avventurosa e affascinante, com’è naturale visto che parliamo di quasi due ore di paesaggi nepalesi e delle montagne più alte del mondo; ma ti riempie anche di dubbi a tutti i livelli, pensieri basilari tipo “ma ne valeva davvero la pena?”, riflessioni sul privilegio, immediatamente stroncate dalla voce della coscienza che ti dice che stai parlando di un morto in famiglia e devi portare rispetto. È strano, ed è ancora più strano doverne parlare senza poter neanche accennare all’unica informazione importante, il cuore di tutto Sei tu, Michael?, la domanda neanche tanto inespressa fin dal titolo. Intanto, eccovi il trailer, poi la storia.
La storia risale al 1999, quando Michael Matthews, 22 anni, diventa il più giovane scalatore britannico a raggiungere la cima dell’Everest. Pochi minuti dopo, però, Michael scompare. Il resto della spedizione lo dà ovviamente per morto. Il suo corpo non viene mai ritrovato, ma considerato che le sue tracce si sono perse nella cosiddetta Death Zone, dove la vita umana è impossibile per periodi prolungati di tempo, non è difficile immaginare che il povero Michael possa essere caduto in un crepaccio, o scivolato dal sentiero e precipitato, o qualsiasi altra cosa terribile ti possa succedere quando stai scalando la montagna più alta del mondo.
Avanti veloce fino al 2022: Spencer Matthews, il fratello minore di Michael, riceve una foto un po’ sgranata direttamente dall’Everest, scattata da una fonte anonima che gli segnala che potrebbe avere ritrovato il corpo di Michael. Spencer, che nel 1999 aveva 10 anni, nel frattempo è cresciuto, ha studiato a Eton, poi in California, infine, grazie anche alla considerevole fortuna familiare, è diventato famoso in TV. Prima partecipando al quasi-reality Made in Chelsea, letteralmente la storia di un gruppo di facoltose famiglie londinesi e della loro vita quotidiana, poi arrivando in finale a Celebrity Masterchef. Ora è anche imprenditore, e ha creato un brand di “non alcoholic-spirits”, un’idea che gli è venuta mentre lui stesso lottava per ritrovare la sobrietà e uno stile di vita più sano.
È chiaro dove sto puntando? Spencer Matthews è un uomo molto ricco che un giorno si è ritrovato nella posta una probabile foto del corpo del fratello morto sull’Everest, e come tutte le persone molto ricche ha deciso che doveva sapere. Cioè: chiunque avrebbe deciso che voleva sapere in quella situazione, il punto è che Matthews si è ritrovato anche con i mezzi materiali per andare in cerca di risposte – un lusso che, per esempio, le famiglie di tutti gli sherpa che ogni anno ci lasciano le penne per accompagnare ricchi turisti occidentali non possono permettersi. Ovviamente non ce l’ho con lui, e anzi sono sicuro che nelle sue condizioni avrei fatto lo stesso: scoprire se quello che si vede in quella foto è davvero il cadavere del fratello non è un capriccio da ricco viziato ma quasi una necessità, anche se per ragioni puramente simboliche. Constato solo come tra il dire e il fare ci sia spesso se non sempre di mezzo l’essere ricchi, e Spencer Matthews è ricco: ecco perché è riuscito a radunare una squadra di dieci cercatori armati di droni e guidati dall’espertissimo Nirmal Purja, che in curriculum ha tra le altre cose “ho scalato tutte e 14 le vette sopra gli 8.000 del mondo nel giro dei sei mesi”.
Sei tu, Michael? è quindi la storia di questa spedizione alla caccia di una foto, e già detta così è chiaro il potenziale spettacolare ma anche drammatico di tutta l’operazione, prodotta tra l’altro sotto la supervisione di un caro amico di Spencer Matthews, l’esploratore e noto volto televisivo Bear Grylls. Il quale compare a schermo solo qualche minuto, sufficiente però a dire il genere di frase che solitamente ammazzerebbe ogni drama, ma che nel caso di questo documentario serve al contrario a dargli quell’aria di serietà che fa capire che qui non si tratta solo di accompagnare un milionario in una gita di piacere ma anche di dolore per confrontarsi con il suo passato.
“Non abbandonare mai il campo base”, dice Bear Grylls a Spencer Matthews. “Lascia salire quelli più esperti di te, e tu tieniti in contatto via radio”. Ma come, qui abbiamo questo avventuroso e palestratissimo uomo bianco pronto a scalare la montagna più alta del mondo in cerca del fratello, e tu gli dici che deve starsene buono poco sopra i 5.000 metri mentre altra gente da lui pagata fa tutto il lavoro duro? Se non si trattasse di un documentario ma di un horror/survival qui è dove vi direi che ovviamente Spencer disattende le indicazioni del più esperto amico e si mette così in grossi guai, ma se c’è una cosa che traspare da tutta l’operazione è quanto chi l’ha voluta abbia un enorme rispetto e timore per la montagna, e quanto sia pronto a (e anche felice di) mettersi da parte e lasciare le luci della ribalta ad altra gente.
Voglio dire che un’operazione come Sei tu, Michael? rischiava tantissimo di diventare in realtà una celebrazione del coraggioso Spencer, che ha sfidato la sorte e gli elementi per dare un po’ di pace al fratello. In realtà tutto il viaggio, fin dal momento dell’atterraggio in Nepal, e quindi anche tutto il documentario, è prima di tutto un omaggio a Michael, appunto, e al percorso che l’ha portato a incontrare la morte. Prima di partire, Spencer ha contattato alcuni dei vecchi compagni di spedizione del fratello, che gli hanno fornito una serie di video girati all’epoca (e che curiosamente nessuno della famiglia Matthews aveva mai visto prima) che gli hanno permesso di ricostruire nel dettaglio tutto il percorso della spedizione. Sei tu, Michael? è così pieno di quelli che di fatto sono filmati d’epoca, e anche di split screen che mettono a confronto il viaggio del 1999 con quello del 2022. Soprattutto nella prima parte del viaggio, quella che porta la spedizione dall’aeroporto fino al campo base, Spencer si sovrappone spesso al fratello, visita gli stessi luoghi, segue gli stessi sentieri, addirittura a un certo punto gioca a biliardo sullo stesso tavolo. È come assistere in diretta a un processo di elaborazione del lutto che l’ideatore del progetto rimandava da vent’anni, e che solo un viaggio in loco gli ha permesso di affrontare davvero.
Il cuore del documentario sono ovviamente le ricerche del corpo di Michael, e la faticosa ascesa fino a oltre 8.000 metri, nell’area dove si suppone sia stata scattata la foto. È qui che Sei tu, Michael? mette da parte le metafore e i paralleli tra esperienze fraterne per diventare un documentario secco, diretto, molto spettacolare e tremendamente faticoso (per procura, a meno che non decidiate di guardarlo mentre state anche voi scalando l’Everest). Le operazioni di ricerca e recupero sono pericolose, spesso potenzialmente letali, e l’impresa apparentemente impossibile; è tutto molto spettacolare, eppure è impossibile, mentre si guardano questi poveracci che appoggiano scalette di ferro su crepacci profondi centinaia di metri e che scalano pareti di ghiaccio quasi verticali, non cominciare a farsi una domanda tremenda: e se non lo trovassero?
Mi è ovviamente vietato in maniera tassativa rispondere a questa domanda, ed è anche giusto così, perché è proprio in questa incertezza che si nascondono alcune delle questioni più interessanti di Sei tu, Michael?. Come decidi non solo di tentare quest’impresa, ma anche di trasformarla in un documentario? Che cosa ti spinge a documentare dettagliatamente quella che di fatto è una tua personale ricerca di senso di fronte a una tragedia che ha segnato la tua infanzia? Cosa succede se trovi il corpo di tuo fratello? Cosa succede se non trovi il corpo di tuo fratello? “Se il documentario esce”, si potrebbe pensare, “significa che quel corpo l’hanno trovato, altrimenti che finale fai?”. E se il senso del viaggio e di tutta l’operazione fosse proprio trovare una risposta a quest’ultima domanda? Come si chiude un capitolo della tua vita dopo che hai speso migliaia di sterline per farlo e dall’altra parte hai incontrato solo resistenza e tanto ghiaccio?
Potrei andare avanti: come la prenderà il resto della famiglia se non dovessi trovare il corpo? Se dopo che hai ritirato fuori dalla neve un trauma vecchio di vent’anni non riesci neanche a metterlo definitivamente in soffitta? E al contrario, come la prenderà il resto della famiglia se dovessi trovare il corpo? Scatterà davvero quel senso di sollievo per una storia chiusa per sempre? La mia impressione è che Spencer Matthews a tutte queste cose non abbia pensato, perché se l’avesse fatto sarebbe ancora sul divano di casa sua a soppesare pro e contro; che abbia avuto un’idea, i mezzi per realizzarla e non si sia fermato a pensarci troppo, preferendo agire d’istinto. Voglio dire che c’è anche tanta profilazione psicologica in Sei tu, Michael?, una sorta di autobiografia mascherata o quantomeno di finestra nella testa di un tizio che ha fatto una cosa pazzissima non importa da quale lato la guardi, ma che quanto meno ha sfruttato il suo privilegio per provare a fare qualcosa di buono per sé stesso e la sua famiglia. Ci è riuscito? Non ci è riuscito? Ho detto che non posso parlarne, ma Sei tu, Michael? è lì, se lo volete.
2023-03-19T11:09:19Z dg43tfdfdgfd