WIM WENDERS TORNA A EMOZIONARE (VOTO 8). DELUSIONE CATHERINE BREILLAT (VOTO 6)

Da quanto tempo Wim Wenders non ci conquistava con un bel film? Documentari molti, ma una fiction degna di memoria mancava da tempo. Fino a ieri: Perfect Days (Giorni perfetti) è un piccolo gioiellino, piccolo nel formato (quello classico, «quadrato», dei film di una volta) ma grande nell’emozione e nella riuscita.

Racconta la vita quotidiana di un cinquantenne (Koji Yakusho, da Palma) che pulisce le toilette pubbliche di Tokyo. Una vita metodica, scandita da azioni sempre uguali: il rituale della sveglia, poi il lavoro che svolge con una attenzione ai limiti del maniacale (le toilette in Giappone sembrano dei piccoli templi), il pranzo sulla stessa panchina, la doccia in un bagno pubblico (a casa ha solo un lavabo), la cena in un bar dove non deve nemmeno ordinare (prende sempre le stesse cose), un libro prima di addormentarsi (lo vediamo leggere anche un volume di William Faulkner) per poi ricominciare la mattina dopo.

Solo nei trasferimenti sul suo mini-van ultra attrezzato ascolta vecchi nastri anni 60 e 70, dagli Animals a Van Morrison a Lou Reed. Parole quasi nessuna (nemmeno con il suo collaboratore decisamente poco professionale), solo qualche fotografia di rami che si stagliano sul cielo. L’ingresso in scena di qualche persona (come la nipote che sembra essere «fuggita» dalla madre) e i sogni che sembrano lavorare sui suoi ricordi finiscono per ribadire (per antifrasi) la ripetitività su cui ha costruito la vita, capace di dare una forma a quella pace interiore che non è rinuncia né moderazione ma piuttosto una silenziosa forma di empatia universale.

Perché ha scelto quella vita? Perché la sorella è molto più ricca di lui? Perché non vuole vedere il padre? Il film non dà risposte. Vuole solo invitarci a guardare come la felicità può essere anche la cancellazione dei desideri.

Più deludente l’altro film in concorso, L’Été dernier (L’estate scorsa) di Catherine Breillat, regista che ha costruito la sua fama sulla provocazione ( Vergine taglia 36, Sex is Comedy o Pornocrazia alcuni dei suoi titoli). Qui scopriamo come un’avvocatessa (Léa Drucker) che difende ragazzine abusate finisca per sedurre (o farsi sedurre) dal figliastro diciassettenne (Samuel Kircher) che per ripicca prima svela tutto al padre (Olivier Rabourdin) e poi denuncia la matrigna per violenza.

Poteva anche essere un tema interessante (dove finiscono le responsabilità dell’una e iniziano quelle dell’altro), ma tutto si riduce ben presto a uno scontro tra lei che difende il proprio perbenismo e lui che sembra interessato solo a vendicarsi del mondo.

Finendo per tralasciare, nonostante la convincente prova della Drucker, quello che poteva essere un tema forte: le pulsioni del desiderio femminile.

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2023-05-26T05:55:19Z dg43tfdfdgfd